Nei primi giorni del prossimo mese di marzo Papa Francesco sarà in Iraq. Il viaggio rappresenta un evento eccezionale innanzitutto sul piano religioso. Il moderno Iraq, infatti, occupa parte di quella mezzaluna fertile che, più di un paio di millenni fa, ha visto il sorgere e prosperare di grandi civiltà (Sumeri , Assiri, Babilonesi ma anche fenici e persiani invasori) sempre in lotta fra loro per contendersi un territorio particolarmente favorito dalle condizioni climatiche e ambientali. Popoli con loro costumi, tradizioni, culture e divinità alle quali sacrificare.
E’ in questa terra che Dio ha scelto di venire incontro all’uomo, anzi di stringere un’alleanza con lui. E’ nella località di Ur dei Caldei (che oggi è in Iraq), che inizia la storia del popolo ebraico e del cristianesimo perché è in questo luogo sperduto che il patriarca Abramo inizia l’avventura misteriosa che lo porterà attraverso un lungo viaggio fino alla terra di Canaan.
Abramo è l’uomo che dà credito alla promessa di Dio, si fida, e sulla sua parola si mette in cammino. La storia che inizia con lui si sviluppa attraverso l’intera regione della Mesopotamia e si estende fino all’Egitto dove il popolo ebraico è deportato e dove Mosè riceverà le Tavole della legge sul monte Sinai. A buon diritto perciò noi chiamiamo quella terra “Terra Santa” e la presenza del papa è immersione in questa storia.
Il pellegrinaggio in Terrasanta, certamente innanzitutto in Palestina dove si svolge la vita e la predicazione di Gesù, ma anche nei luoghi dell’Antico Testamento è sempre, per i cristiani, l’occasione per rinnovare la propria fede in un Dio che non è come quelli dell’Olimpo dei greci, né come Baal e i suoi simili – invenzioni degli uomini. Ma è un Dio vivo, che parla con Abramo e con Mosè, che libera il popolo dalla schiavitù e lo insedia nella terra promessa.
Di tutto questo possiamo vedere ancora le tracce archeologiche, cioè prove concrete di avvenimenti storici. E prove di un Dio che ama tanto gli uomini da mandare suo figlio nella carne umana, nella storia concreta, tra le pietre delle città e nella polvere dei deserti della Palestina.
La presenza del papa in uno dei punti più significativi della Terrasanta può risvegliare nei cristiani la fede nel Dio che si fa carne e continua ad abitare in mezzo a noi.
Ma c’è anche un’altra lettura che si può dare a questo viaggio.
Non si può dimenticare che l’Iraq è stato teatro di due guerre che hanno destabilizzato il paese a quel tempo governato da Saddam Hussein, un dittatore, certo, ma che fino a poco tempo prima dell’invasione americana aveva goduto del rispetto della maggior parte dei governi occidentali, anzi come altri autocrati era parte dell’alleanza delle forze socialiste mondiali.
Una prima guerra – alla quale cercò di opporsi san Giovanni Paolo II – fu condotta dagli Usa in coalizione con altri paesi per punire Saddam dell’invasione del Kuwait. La seconda poco più di dieci anni dopo fu motivata dalla presenza di “armi di distruzione di massa “, notizia che si rivelò poi del tutto infondata e solo un pretesto per consentire di abbattere Saddam e imporre un regime diverso.
Quegli eventi sono stati il primo passo di una più ampia destabilizzazione che, dopo l’Iraq, è passata attraverso le cosiddette primavere arabe dalla Tunisia all’Egitto arrivando fino alla Siria e, con motivazioni diverse, alla Libia. Gli osservatori più ottimisti giudicano questi eventi alla stregua di rivoluzioni incompiute, ma chi guardi con occhi disincantati non può non chiedersi se oggi, almeno in Siria, Iraq, Egitto e Libia le persone vivano in condizioni migliori di prima. In ogni caso un fatto è certo, i cristiani che vivono in questi territori – e che in Siria e Iraq costituivano minoranze significative e accettate – vivono peggio: sono quelli che hanno pagato il prezzo maggiore di queste rivoluzioni, in termini di vittime, di beni perduti, di emigrazioni forzate.
Il Medio Oriente rappresenta il fallimento della pretesa, astratta perché ideologica, concepita nei centri di potere degli Usa cui si accodano poi troppo facilmente le autorità europee, di esportare la democrazia in questi paesi.
Si dimentica che la democrazia, come la conosciamo nei paesi occidentali, è una conquista che ha richiesto un lungo percorso storico, guerre e rivoluzioni, per arrivare ad affermare che” la sovranità appartiene al popolo che lo esercita nelle forme e nei limiti della costituzione”. E tra le guerre le più drammatiche sono state quelle di religione, nonostante fosse chiara fin dal Vangelo la necessaria separazione tra la Chiesa e il potere politico.
Volere imporre forme istituzionali formatesi nell’alveo della cristianità a popoli che hanno storie millenarie e religioni diverse dal cristianesimo si è rivelata una follia e un dramma le cui conseguenze durano oggi e continueranno nel tempo.
In questo contesto se avverrà, come si spera, anche un incontro tra il papa e la massima autorità sciita dell’Iraq, questo potrà rappresentare un altro passo nella direzione auspicata dal “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” firmato con il grande imam di Al-Azhari.
Si tratta in pratica di cercare le condizioni per convivere in pace dentro società in cui sono presenti religioni diverse e non credenti, rispettando la libertà di ogni persona, riconoscendosi come “Fratelli tutti”.
C’è una certa assonanza – pur in condizioni molto diverse – con aspetti del dibattito che avvenne in occasione della stesura della Dichiarazione Universale dei Diritti umani approvata dalle Nazioni Unite nel 1948. Nel corso dei lavori preparatori, in commissione, il filosofo francese Jacques Maritain suggerì un’impostazione che può aiutare anche oggi sostenendo che “le nazioni dovevano e potevano raggiungere un accordo concreto sui principi fondamentali dei diritti umani senza dover pervenire necessariamente al consenso sui loro fondamenti” (M.A. Glendon, Verso un mondo nuovo, Liberilibri, pag. 262).
Riscoprire le ragioni del vivere insieme come un vero “bene comune” è la speranza che questo viaggio porta con sé.